Il Raboso!
È il vitigno che sento più appartenermi perché vino della zona del Piave per eccellenza; perché quando nasci qua, del Raboso senti sempre parlare come una sorta di vino maschio; o forse perché abito a Tezze di Piave , e a inizio ‘900 proprio in questo paese, il Raboso rappresentava, pressoché, l’unico vitigno coltivato. Gli anziani, ancora in vita, qualsiasi cosa tu abbia, influenza, fiacchezza, ti dicono un “bicer de Raboso e te fa bon sangue”, addirittura alcuni ne mettevano un bicchiere nel brodo come ricostituente.
I “vecchi di casa”, avendo noi una cantina che da 2 secoli produce il Raboso, mi raccontavano che quando una puerpera aveva appena partorito ed era fiacca o una persona aveva avuto un operazione, alcuni medici dell’Ospedale di Conegliano prescrivevano due bicchieri di Raboso al giorno. Addirittura raccontava che nelle zone di bonifica a Cinto Caomaggiore, gli operai dell’Azienda Zacchi, si fossero malati di malaria e il titolare venne in azienda a comprare un carro pieno di damigiane e dopo qualche mese di Raboso, guarirono; magari non fu per quello ma questi racconti orali dimostrano come fosse importante il ruolo che veniva dato a questo vino.
La vite del Raboso, vitigno autoctono e rustico, è la prima a germogliare e l’ultima a concedersi alla raccolta del proprio frutto. Il suo segreto è nel terreno: in quei terreni ghiaiosi e argillosi, in quegli antichi greti, in quelle golene tra il fiume e i suoi argini, dove maturano sotto il sole ardente.
La vendemmia dell’uva rabosa avviene ad autunno inoltrato. E’ forse, l’unica vendemmia che mantiene ancora il sapore antico della tradizione e della vendemmia totalmente a mano perché quasi tutti i vitigni sono piantati con il sistema a bellussera che sembra pensato per rendere al massimo questa varietà.
Il Raboso viene descritto con gli stessi aggettivi che si usano per descrivere le genti del Piave: forte, robusto, pieno di carattere. Un vino maschio a tutti gli effetti.
La sua vite, che vanta un origine antichissima, accompagna il lungo viaggio degli Heneti, in seguito denominati Paleoveneti, dalle terre di origine fino alle pianure dell’alto golfo Adriatico.
Dopo la caduta dell’Impero Romano, il Raboso del Piave è tra i vini più richiesti e graditi nel vasto mercato che ruota attorno alle attività commerciali e alla vita stessa della Serenissima Repubblica di Venezia, almeno fino dal 1500, poiché quando veniva portato nelle navi restava perfetto, a differenza degli altri vini che deperivano. Che fosse anticamente presente nella zona del Piave lo conferma anche Jacopo Agostinetti, conoscitore di cose agricole nato e morto a Cimadolmo (TV), che alla fine del ‘600, già ottuagenario, nelle sue memorie che intitola “Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa”, scrive: “Qui nel nostro paese, che per lo più si fanno vini neri per Venetia di uva nera che si chiama recandina, altri la chiamano rabosa per esser uva di natura forte….”
Diventa tanto importante questo vitigno da essere, agli inizi del ‘900, il dominatore in due aree viticole: l’area compresa tra Conegliano e la strada Callalta ed i fiumi Piave e Livenza, chiamata “zona del Raboso Piave”. In quel periodo nell’area del Raboso Piave si producevano complessivamente 100.000 ettolitri di vino di cui circa 80.000 erano di Raboso Piave.
Sono anni duri quelli di inizio secolo segnati dall’arrivo delle malattie devastanti (l’oidio, la peronospora e la filossera) e dalla desolazione delle campagne nell’ultimo anno della grande guerra, il vitigno Raboso, proprio perché rustico e forte, è riuscito a sopravvivere, restando il più diffuso nella pianura trevigiana e soprattutto del Piave.
Nel secondo dopoguerra però il Raboso del Piave inizia a vacillare sul trono e la tendenza si inverte portando, per molti anni, la sua coltivazione dal 90% al 5%.
Solo a metà degli anni ’90 la terra del Piave accompagna una nuova stagione del suo Raboso.
Si riparte dalle radici mettendo a frutto le intuizioni di capaci e coraggiosi vignaioli, sempre sostenute dal mondo dello studio e della ricerca: La Scuola Enologica di Conegliano, L’Università di Padova e il Centro di Ricerca di Viticoltura.
Il Raboso vanta una Confraternita e un inno a lui dedicato.
Il Raboso è stato protetto con il disciplinare DOC Piave e Malanotte DOCG.
Il vino ottenuto dalle uve di Raboso con le tecniche tradizionali, è di colore rosso intenso, con un gradevole profumo particolare che ricorda la marasca, non molto alcolico; il sapore è acido, aspro, dotato di molto corpo. Il suo profumo è inebriante, davvero ricco e complesso.
È un uva che si presta a molte possibilità; può diventare ottimo vino robusto di corpo, con invecchiamenti in botte e in barrique come descrivono i disciplinari del Doc e del DOCG. Può essere appassito, diventando un vino prezioso, per la resa bassissima in vino, ma soprattutto per le caratteristiche organolettiche che assume. La sua austera struttura è così ammorbidita dal naturale dolce degli zuccheri residui. Può essere vinificato in rosato e diventare una piacevole bevanda, che si presenta di un bel colore rosè caratteristico per la sua acidità, stemperata da un sapiente equilibrio tra dolce e frizzante: servito ben fresco è un ideale vino per l’estate Se vinificato in rossissimo, e diventare correttore di colore e di acidità. Infine può essere vinificato in bianco, senza le bucce, e presentarsi neutro all’olfatto, da utilizzare in soccorso di vini bianchi, anche pregiati, difettosi di acidità.
In alcune osterie viene bevuto, ancor oggi, nelle “scudee” dove lasciava ben definito il contorno rosso deciso del Raboso; indimenticabili quelle dell’osteria Ciao Bei.
È un vino che per le sue mille varianti si presta ad accompagnare nella versione del rosato gli antipasti e gli apertivi e nella versione del passito i dessert. Però nella sua forma più classica di vino rosso corposo è lo sposo preferito della carne rossa, la cacciagione, i formaggi, ma è anche adatto ad accompagnare le serate tra amici.
Gli anziani della zona del Piave dicevano: “Bevi Raboso e campi 100 anni” e vedendo gli ultracentenari che ci sono nella nostra zona credo proprio che sia così.
Alberta Bellussi
- 22 October 2018
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