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La bellussera

Siamo in periodo di vendemmia, uva e vigneti.

Approfitto per raccontarvi la storia di una scoperta che appartiene alla mia famiglia: “la bellussera”, sistema di allevamento della vite diffuso in Veneto da fine ‘800.

Magari girando per la nostra Regione e soprattutto per la pianura trevigiana avete visto quell’antica forma di viticoltura, particolarmente scenografica e molto interessante sia dal punto di vista storico che sociale.

Vista dall’alto, “la bellussera”, sembra un merletto ricamato o un alveare tanto è precisa e perfetta: un’opera d’arte.

“La bellussera” fu inventata per andare incontro a varie esigenze; in primis cercare di produrre una grande quantità di uva ma l’aspetto più affascinate è il valore sociale e economico che ha avuto nella civiltà contadina da fine ‘800 in avanti.

Questo sistema di allevamento fu così realizzato principalmente per due motivi; in primo luogo perché così disposte le viti rendevano più facile combattere la peronospora, malattia della vite molto diffusa, e in secondo luogo permetteva di sfruttare al massimo le risorse della terra sotto al vigneto.

Nell’Ottocento, le campagne della zona del Piave erano coltivate tutte in regime di mezzadria e ai contadini restava solo 1/3 del raccolto. I vigneti a “bellusera”, tenendo i tralci vitati a oltre due metri d’altezza, evitavano che l’umidità delle terre del Piave, ricche di risorgive, potesse creare le condizioni per lo sviluppo della peronospora e producevano, così, grandi quantità d’uva per ettaro per la felicità dei contadini. Nei corridoi dell’interfilare, poi, si potevano coltivare ortaggi di ogni tipo; sotto le viti si faceva il fieno per le mucche e l’erba per i conigli o gli altri animali da cortile.  Quando le viti venivano maritate ai gelsi, si potevano utilizzare le foglie delle piante per allevare bachi da seta. “La bellussera” era un bellissimo esempio di piccolo eco-sistema di coltivazioni agricole integrate garantiva in questo modo la sussistenza delle famiglie molto numerose dei contadini e la cospicua produzione di uva rendeva lieti i mezzadri.

L’abbandono della mezzadria, i nuovi metodi per combattere la peronospora e la concezione moderna della viticoltura di qualità, indirizzata verso le basse rese e la vendemmia meccanica, hanno di fatto decretato la fine delle vigne a “bellussera” anche se in questi ultimi anni c’è un ritorno per alcuni tipi di uva come il Raboso o i rossi perché rende una qualità migliore.

Questo sistema così interessante e ricco di risorse fu ideato dai fratelli Bellussi alla fine dell’800 nel Comune di Tezze di Piave, in provincia di Treviso. Le prime applicazioni di questo sistema furono sperimentate dai fratelli Girolamo e Antonio, agricoltori di Tezze di Piave (TV) partendo da un’idea del padre Donato.

La prima fase di tale sperimentazione consistette nell’alzare le viti a m. 2.50 circa da terra, a fianco di un tutore vivo e piegandole in guisa da formare capi a frutto che venivano fissati per le estremità a pali di legno posti alla metà dell’interfilare. In tal modo era data la possibilità ai tralci fruttiferi della vite di rimanere al di fuori della zona d’ombra prodotta dal tutore vivo.

Senonché, essendosi dimostrato tale sistema assai ingombrante e di non troppa solidità, fu successivamente modificato dagli stessi fratelli Bellussi, ponendo un palo in legno, alto 4 metri, accanto al tutore vivo, quasi per rinforzo. Questo palo aveva la funzione di sorreggere alcuni fili di ferro disposti a raggio congiungentisi ad altri pali in corrispondenza ad ogni capo a frutto. I Bellussi collocarono una piccola frasca che aveva lo scopo di dare la possibilità ai germogli di affissarsi. I cordoni, così sistemati, riuscivano ad assumere direzione obliqua.

Una terza modificazione fu apportata quindi dai Bellussi al loro sistema che per maggior solidità ed anche per risparmio di pali subì una trasformazione nella disposizione dei fili di ferro che furono collocati a tre: uno orizzontale e due obliqui su di un piano verticale; le frasche vennero fissate al filo superiore. In riconoscimento di queste benemerenze, Antonio Bellussi venne nominato Cavaliere del Lavoro. Vittorio e Guerrino continuarono le nobili tradizioni familiari, mantenendosi all’avanguardia nella coltivazione della vite e nella produzione del vino e poi i figli di loro Agostino e Lamberto, e i nipoti Vittorio, Enrico e Alberta.

Nei primi del ‘900 fu anche esportata in Sud America a Mendoza.

Scrive Gianni Moriani:   ”trattasi di una ingegnosa soluzione che si mostra agli occhi sorprendentemente preziosa, come un pizzo realizzato con il famoso punto in aria, specialità di certe merlettaie del nostro estuario. Entro in questa verde “chiesa”, attraverso una porta sempre aperta, in una luminosa giornata, mossa da uno zefiro che fa dondolare le foglie: la scena richiama alla mente l’arte cinetica delle installazioni create da Alexander Calder. Credo che i fratelli Antonio e Matteo Bellussi, geniali realizzatori di questo originalissimo sistema di allevamento viticolo, partendo da un’idea del padre Donato, vadano a pieno titolo iscritti tra gli anticipatori dell’arte cinetica. Come le più ardite opere architettoniche, anche la Bellussera si regge su ferrei principi geometrici. Da ogni sostegno i tralci si dipartono a raggiera, per catturare più raggi di sole possibile. Si può dire che tolti i tutori, tutto sia appeso alla leggerezza di un filo”.

Alberta Bellussi