Il calore antico della cusina economica
In questi giorni di inizio autunno dove, alla sera, l’aria più fresca ti fa venire quella voglia di calore, di tepore con un balzo indietro nel tempo torno, emozionata, nella cucina dove la regina incontrastata era la mia cara nonna Maria e la stùa. La stua detta anche cusina economica era sempre accesa da settembre a maggio perché era il fulcro della casa e il suo calore era una carezza calda che ti accoglieva sempre.
E la nonna che con la cesta della legna in parte diceva:-“ Berta butta su un zochet che no more el fogo”. E tutto il giorno, a intervalli più o meno brevi, per ravvivare il fuoco la nonna buttava su un zochet. E alla mattina presto accendeva il fuoco, parche el ciape, co i stec secchi.
La cucina economica delle case dei nostri nonni era una stufa in ghisa smaltata e rispondeva a più funzioni: cucinare, riscaldare o scaldare l’acqua. La nostra aveva quattro porticine una per la legna, una per la cenere, un forno piu grande e uno più piccolo. Quante volte mi sono scaldata le mani sopra la piastra in ghisa al ritorno da scuola in bici in inverno o i piedi dentro al forno; dentro il fondo ci mettevo spesso anche i guanti e i calzini a scaldare prima di uscire in bici quando d’inverno faceva freddo. Era un calore antico che ti scaldava anche il cuore.
La piastra in ghisa aveva degli anelli che si alzavano, mi sembra sei in tutto, dal più grande al più piccolo che si chiudeva con un cerchio con un buchetto in mezzo che si alzava con un pichet de ferro. Si poteva alzare per dare una sistemata alla legna e ravvivare il fuoco
Sopra la piastra in ghisa non mancavano mai pentole e pentolini, e ognuno aveva quelli secondo le proprie abitudini: “un teciet col pomo cot el va sempre ben” e poi le fette di polenta del pranzo che diventavano croccanti se le lasciavi sopra la piastra tutto il giorno e il pane del giorno prima lo trovavi dentro il forno che era diventato pan biscotà; in inverno una pentola col brodo, che poi lasciato sopra un giorno intero, diventava più intenso del dado insomma se avevi fame a qualsiasi ora del giorno nella cucina economica trovavi qualcosa da mangiare. E da novembre in un angolo della piastra c’erano sempre le castagne calde pronte da sbucciare.
A mezzogiorno la stùa era a pieno fuoco con le pentole che bollivano con spezzatino, stufato, selvaggina per il pranzo e appena aprivi la porta di casa sapevi cosa avresti mangiato perché sulla piastra della cucina c’era un mescolio di profumi che si diffondeva ovunque.
Sul filo di ferro sopra la piastra erano appese cazze e cazut di ogni tipo che servivano per prendere, mescolare e poi una serie di presine, detti ciapin, fatte all’uncinetto con gli avanzi della lana dei lavori a ferri che erano un arcobaleno di colori. A volte le presine cadevano sulla piastra ed la lana si bruciacchiava.
La nostra stufa aveva anche la vaschetta dell’acqua sempre piena e sempre calda. Alla sera prendevi la cazza e riempivi con quell’acqua la butiglia dell’acqua calda, che la nonna chiamava boza, da mettere sotto le coperte per scaldarsi i piedi nella speranza che la butiglia non perdesse, sennò ti trovavi i piedi bagnati.
Faceva freddo ma io sentivo il caldo abbraccio delle cose semplici che la nonna mi insegnava a vivere.
La cucina economica è stata il cuore pulsante di ogni casa rurale veneta da sempre perché cucinava, riscaldava, asciugava… una macchina multiuso a tutti gli effetti. La vita della famiglia veneta si svolgeva attorno a questo oggetto che ha una carica fortemente iconica perché riporta alla memoria momenti familiari e conviviali, sensazioni, calore e profumi: il sapore di un caldo passato del quale provo una tenera nostalgia.
Alberta Bellussi
- 25 September 2019
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