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Andémo béver un’ombra in un bàcaro

Quante volte si sente dire : “Ciò, Andémo béver un’ombra!”…

E’ questo un invito conviviale molto usato in Veneto e si tramanda da generazioni. Davanti a un “ombra” cioè a un bicchiere di vino si fanno quattro chiacchiere con gli amici, si concludono affari, ci si rilassa per spezzare la giornata.

 

Ma da dove deriva questa espressione?

Il termine  risale  alla fine del secolo quattordicesimo quando, attorno al campanile di S. Marco, venivano montate molte   bancarelle  di legno che proponevano varie attività commerciali: rigattieri, panettieri, spezieri e osterie. La Piazza era infatti il luogo ideale per incontri e chiacchiere, solitamente accompagnate da un buon bicchiere di vino. I mescitori di vino avevano molto lavoro; loro per  non rovinare il prezioso liquido di Bacco e mantenerlo sempre fresco anche nelle stagioni più calde,  spostavano la loro bancarella attorno al Campanile, inseguendo la sua ombra man mano che si spostava il sole. Il vino, per essere buono, doveva rimanere all’ombra e così il bicchiere di vino prese il nome … l’ombra.

Un’altra spiegazione simile nel contenuto ma diversa nella contestualizzazione poggia le sue basi nella civiltà contadina. Tempo fa i contadini al momento della mietitura si alzavano molto presto e verso le 9/10 erano 4/5 ore che lavoravano di falce, il sole a picco …..a quell’ora le donne portavano la merenda ( polenta e ….poco altro).
Ecco che allora si disse :
‘Ndemo farse un ombra…vale a dire : andiamo all’ombra di un albero e bere un bicchiere di vino e a mangiare.
Cit Marino Panto

Un tempo  si diceva: “Andémo béver all’ombra”, che con la trasmissione orale divenne : “Andémo béver un’ombra”.  Questo modo di dire è tutt’ora molto vivo e molto usato in tutto il Veneto.

E “l’ombra” a Venezia si beve nel bàcaro.

L’etimologia dell’appellativo bàcaro è alquanto controversa, nel corso degli anni, infatti, si sono affermate 4 teorie sulla sua origine:

  • secondo la prima il termine bàcaro deriva dal nome del dio romano del vino e della vendemmia: Bacco;
  • una seconda teoria fa desumere il nome dalla tipica espressione veneziana “far bàcara“, che letteralmente significa “far festa”; si fa risalire, infatti, a una esclamazione di un gondoliere che un giorno, assaggiando un nuovo vino venuto dal sud Italia, esclamò: Bon, bon! Questo xe proprio un “vin de bàcaro”. L’espressione veneziana “far bàcara” equivale a far baldoria, mangiare e bere in buona compagnia: quindi un “vin de bàcaro” non può essere che un vino adatto a questo scopo. Secondo questa leggenda, riportata da Elio Zorzi nel suo libro “Osterie Veneziane´ del 1928, il gondoliere avrebbe creato un nuovo termine, che si trasmise poi ai locali di mescita di vino sfuso;
  • bàcari pare che venissero chiamati anche i venditori di vino in botte a Piazza San Marco;
  • l’ipotesi meno probabile è quella che il nome derivi da un vino pugliese del ‘700 particolarmente apprezzato nella città, vino appunto chiamato bàcaro.

Alberta Bellussi

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LA BANDIERA VENETA: la sua storia

In questo periodo la bandiera Veneta è argomento molto attuale perché ha quella forma e quei colori?

La Bandiera Veneta viene chiamata anche  “Gonfalone di San Marco” e  rappresenta la storia di un Popolo, quello Veneto.

La bandiera Veneta è una bandiera particolare  è simbolo di un’identità molto forte e di un’appartenenza che le viene data dalla storia. La bandiera è nata quasi 15 secoli fa e raffigura il simbolo del santo patrono protettore della città e della Repubblica Serenissima di Venezia (San Marco).

Le code, o frange, rappresentano i 6 Sestieri di Venezia. La bandiera Veneta originale, essendo per definizione unica al mondo, deve necessariamente essere dotata di 6 frange, sempre ben distinte e indipendenti. Esse hanno la funzione di preservare integra la parte centrale che in tal modo non viene danneggiata dal vento. Questa era la prassi di tutta la marina militare e mercantile della Serenissima Repubblica di Venezia (697-1797), la più ricca e potente del mondo.

La Serenissima Repubblica di Venezia , però, non aveva mai codificato con una legge i propri vessilli, lasciando  che fosse  l’uso a definirne le caratteristiche, a seconda delle circostanze.

La tradizione racconta che la prima bandiera avesse proprio il Leone di San Marco su fondo blu,  il colore del mare, anche senza code od altri ornamenti , aggiunti successivamente .

Fu poi sostituita dalla bandiera col fondo rosso, nelle varie varianti, con libro aperto, chiuso o con spada,  qualcuno dice il colore del sangue, certamente usata in tempo di guerra. Altri semplicemente affermano che il colore fu cambiato per renderla meglio visibile in mare.

La bandiera Veneta non è, in realtà,  una bandiera politica.

Il vessillo Veneto ha varie versioni, in quello più diffusa, il Leone di San Marco che  regge aperto un libro recante la scritta in lingua latina “Pax tibi Marce Evangelista Meus”.

Meno diffusa è la bandiera dove il leone impugna  la spada: presente solo sulle navi e  rappresenta la bandiera della marina militare in tempo di guerra, mentre quella con il libro chiuso indicava situazioni conflittuali fra la Repubblica ed il luogo dove è osservabile.

Il leone alato con il libro aperto è un simbolo ricorrente ed è ancora oggi murato sulle porte delle città che facevano parte della Repubblica, ma anche su palazzi pubblici e privati. La bandiera di San Marco era affissa in ogni capoluogo della Serenissima Repubblica di Venezia, d’ordine del Doge, che provvedeva a far spedire ad ogni città supplicante, gratuitamente ed a cura dell’arsenale, un apposito palo, che veniva periodicamente sostituito quando deteriorato.

Singolare la storia della Comunita’ di Perasto (oggi Montenegro) fu l’ultima città ad arrendersi ai francesi e l’ultima ad ammainare la bandiera Veneta. Durante il Medioevo Perasto  entrò a far parte  della Repubblica di Venezia, cui appartenne a periodi intermittenti e poi ininterrottamente dal 1420 al 1797.  Fu nel  ‘700 che  la cittadina visse il suo momento di maggior splendore, giungendo ad avere quattro cantieri navali, una flotta di circa cento navi, nove torri difensive, la fortezza di Santa Croce (1570), i sedici palazzi barocchi e le diciannove chiese. La devozione della cittadina alla Repubblica di Venezia non venne meno neppure alla caduta di quest’ultima.  Quando il 12 maggio 1797 il Doge, Ludovico Manin, depose le insegne di San Marco, i perastini decisero  di rimanere veneziani e si ressero in autogoverno fino all’arrivo delle truppe austriache.

Giuseppe Viscovich, capitano di Perasto, il 23 agosto del 1797 ammainava la bandiera di San Marco pronunciando la celebre orazione «ti co nu, nu co ti», con la bandiera tra le mani bagnato dal pianto di tutto il Popolo. I vessilli veneti rimasero così issati sulla città fino al giorno in cui vennero seppelliti con una cerimonia solenne, sotto l’altare maggiore della Chiesa di San Nicolò (Sveti Nikola).  Perasto era stata fedele alla Repubblica di Venezia per 377 anni.

La bandiera Veneta è di tutti ed è una bandiera di pace e rettitudine ma soprattutto di identità cultura e appartenenza.

Alberta Bellussi

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Ma chi è il  SIGNOR DA VIDOR?

Nella Sinistra Piave, e forse non solo, si usa un’espressione di stupore o di sorpresa che è “ Ih signor da Vidor” come per dire “Mamma mia”, “Maria Vergine”.

L’altro giorno l’ho sentita pronunciare da una signora e ho pensato chissà mai da dove deriva.

Ho chiesto a uno storico di cultura locale  e ho fatto qualche ricerca ed eccoci svelato il mistero.

Esiste anche un’antica  filastrocca che parla di questo Signor da Vidor che recita:

Oh Signor da Vidor ciol  su la barca e vegnéme a cior;

 

Ma chi è sto Signor da Vidor?

L’area  adiacente all’Abbazia di Santa Bona di Vidor in epoca medievale era diventata  un porto fluviale nel quale c’era il  servizio di traghetto delle persone e merci da una sponda all’altra del Piave.

Il signor da Vidor era il barcaiolo  che a Vidor, con la barca, portava le persone dalla sinistra Piave alla destra; e se non c’era il signor da Vidor rimanevi lì,  non potevi traghettare perché l’acqua del fiume era alta e con molta corrente.

Il servizio di traghetto, in quest’area,  funzionò fino al 1871 quando venne inaugurato il primo ponte di legno sul Piave.

Per molti anni in questo luogo si era conservata l’antica casa  dei barcaiolo  o traghettatori addetti al passo barca, che fu distrutta poi durante la guerra del 1915-18. Nella roccia è ancora visibile un anello di ferro detto in dialetto “la sciona”” per l’attracco delle imbarcazioni.

Lungo il corso del Piave c’erano altri  punti di traghettamento perché  all’epoca questo corso d’acqua aveva una portata molto elevata e impetuosa che rendeva quasi impossibile guadarlo a piedi.

Le rivalità tra i numerosi passi barca del Piave sono, appunto,  menzionate nel detto:

Oh Signor da Vidor ciol  su la barca e vegnéme a cior;

che quel da Zian l’é’n poro can;

quel da Bigolin l’é massa picinin;

quel da Col nol me vol e de quel da Onigo no me fido!

 

Traduzione  (o Signore da Vidor, prendete la barca e venitemi a prendere;

che quello di Ciano è un poveraccio;

quello da Bigolino è troppo piccolino;

quello di Covolo non mi vuole e di quello di Onigo non mi fido!).

Alberta Bellussi

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…QUEL DEL FORMAIO

L’altra sera parlando tra amici e con il casaro del banco del formaggio del mercato di Tezze disquisivamo sull’origine del detto “ Te trovarà quel del formaio” ; detto che in Veneto si manifesta nelle centinaia di  inflessioni dialettali locali.

Avevo promesso che avrei cercato il perché di questa formula sempre in uso e mai passata di moda nel nostro vivere comune. Lo si usa quando una persona è prepotente e arrogante, e magari fa delle furbate verso gli altri allora gli si augura che “prima o poi trovi quello del formaggio”, per  abbassargli la cresta e quietare l’arroganza.

Ma cosa centra l’uomo del formaggio con la giustizia sociale?

Ho provato a cercare e chiedere agli anziani. Alla fine del mio ricercare tre sono le spiegazioni che ne escono che hanno un filo conduttore  comune la forza fisica come soluzione all’arroganza.

La storia è dibattuta da anni e si trova lo stesso modo di dire anche in altri  dialetti dell’area triveneta, in Trentino, in Friuli, nel Triestino e perfino in Istria, ma rimane la questione:

cosa c’entra l’uomo del formaggio?

1- “Rivarà quel del formajo” secondo la tradizione veneziana deriva da “formaiea”.

Un tempo, per conciare le pelli, si usavano cortecce di rovere. Dopo averle usate si lasciavano asciugare al sole. Una volta asciugate venivano pestate e usate come combustibile per riscaldare le case. Erano le  “Formagee dea Giudeca” perché i conciapelli vivevano proprio in questa isola. E’ arrivato quello del formaggio significherebbe, quindi, colui che batte le cortecce cioè quello  che ti pesta a dovere.

2-  “La seconda ipotesi nasce in territorio trentino, pare da un fatto di una cronaca giudiziaria locale narrato da Giovanni de Tisi di Giustino, notaio di Rendina, per quanto riguardava  una controversia tra le comunità di Pelagio e Rendina per il possesso della malga del monte Spinole. I fatti avrebbero avuto luogo  nel 1380 in una remota e poco abitata zona del Trentino, in una società  che basava tutta la sua economia esclusivamente sull’ agricoltura e  la pastorizia,  sotto il dominio  del  principe – vescovo di Trento tramite nobili locali. Ed è uno di questi il cardine della storia, il nobile Giovanni de Tisi accusa di omicidio un malgaro che aveva ucciso “l’uomo del formaggio”. Era uso, in quel tempo, che l’affitto di una malga fosse pagato in natura. Nel caso in questione si era pattuito come affitto della malga un “uomo del formaggio” ovvero una quantità di prodotto caseario pari all’altezza di un uomo.  Quell’anno, particolarmente povero di latte, i padroni mandarono a riscuotere l’affitto un uomo di statura imponente.  Il povero malgaro incominciò  ad accatastare le forme di formaggio accanto al gigante, ma  arrivato alle spalle,  aveva terminato il formaggio, così  tolse dal ceppo un’ascia e semplicemente  tagliò la testa del riscossore del tributo e raggiunse la giusta quantità da dare”. ( cit. Carlo Scattolini)

Questa spiegazione non risponde appieno al significato della  frase, ma vediamo ora una terza ipotesi

3- I malgari ovvero i produttori di formaggi, erano gente abituata alla solitudine dei monti, forti, temprati da un lavoro duro e dall’ ambiente di montagna impervio e rigido.  Erano uomini taciturni, burberi, pratici, contemplativi e poco avvezzi alle furberie della gente di città.  Accadeva, quelle rarissime volte, che scendevano a valle per vendere o barattare i loro prodotti  che se qualcuno provava a imbrogliarli o a prendersi gioco di loro si facevano giustizia da soli in modo brutale e violento. Loro erano fisicamente molto forti e ne avevano spesso la meglio a suon di pugni e sberle.

Queste sono le spiegazioni che sono riuscita a trovare di questo detto sempre molto usato ci riportano tutte a una giustizia fatta utilizzando qualche sberla o pugno… come andava di moda un tempo per farsi rispettare.

E io auguro a tutti gli arroganti di trovare prima o poi quel del formajo, magari, che insegni loro l’educazione a parole ma che l’arroganza venga spenta definitivamente sul nascere.

Alberta Bellussi