Follow Me

Close
By
Oggi del marzo della Serenissima è rimasta la tradizione popolare veneta del “batimarso”, che tradotto in italiano significa “Batti Marzo” in alcuni paesi
Si esce in processione muniti di coperchi, pentole, mestoli e quant’altro e si fa più rumore possibile, per risvegliare Madre Natura dopo il lungo inverno cantando in veneziano:
Vegní fora zente, vegnì
vegnì in strada a far casoto,
a bàtare Marso co coerci, tece e pignate!
A la Natura dovemo farghe corajo, sigando e cantando,
par svejar fora i spiriti de la tera!
Vegnì fora tuti bei e bruti.
Bati, bati Marso che ‘l mato va descalso,
femo casoto fin che riva sera
e ciamemo co forsa ea Primavera!
Vegnì fora zente, vegnì fora!
Alberta Bellussi
By
Compi 1604 anni ma ti mantieni ancora benissimo come una splendida ed elegante nobildonna anche se c’è chi senza ritegno imbratta i tuoi muri o ti riempie di rifiuti mancandoti di rispetto.
MERITI DI ESSERE TRATTATA CON I GUANTI DI VELLUTO.
La storia di Venezia è molto antica e i primi insediamenti risalgono al V secolo, periodo in cui le popolazioni della terraferma fuggivano in laguna dalle scorribande dei barbari (che, muovendosi a cavallo, non potevano arrivare sulle isole). Venezia era composta da un insieme di insediamenti diversi, e quelli più importanti erano sulle isole, tra cui l’antica Metamauco, al Lido, l’antenata di Malamocco.
Convenzionalmente, però, la nascita di Venezia si risalire al 25 marzo del 421 d.C.
La data simboleggia la posa della prima pietra della città, giorno in cui, secondo le cronache del tempo, due consulares patavini sancirono la nascita di Venezia.
Leggenda vuole che il primo insediamento a Venezia si collochi in un’isola poco più alta delle altre, chiamata appunto Rivus Altus (oggi Rialto).
L’origine di Venezia viene fatta coincidere con la posa della prima pietra della Chiesa di San Giacometto, in Rialto, il 25 marzo del 421
La giornata era ricca di significati simbolici sia perché coincideva con l’Annunciazione di Maria, sia perché, al tempo, l’anno iniziava a marzo, con l’arrivo della primavera, e quindi il 25 marzo divenne il Capodanno veneziano.
Predestinata da Dio, come la Madonna era Venezia. Sopra al Campanile di San Marco, nel punto più alto della città ed in corrispondenza di quello che era l’accesso a Venezia dal mare, si trova la statua d’oro dell’angelo dell’annunciazione di Maria.
Il Capodanno veneziano rimase fino alla venuta di Napoleone. Questa consuetudine venne mantenuta anche dai veneziani che, durante la Repubblica della Serenissima, festeggiavano il Cao de ano (il Capodanno) sempre a marzo, ma anticipandolo il primo giorno del mese.
AUGURIII Di ❤️
Alberta Bellussi
By
Oderzo nella Piazza Grande c’è la “meridiana” più grande d’Italia anche se in realtà si tratta di un grande analemma che funge da calendario usando l’ombra del pinnacolo centrale del Duomo. Progettata dall’ architetto Follina nel 1992 nell’ambito del restauro della Piazza; è disegnata una curva a forma di otto che funge da meridiana a tempo medio o meglio da analemma solare. Segna le ore 12 (le 13 in ora legale) quando l’ombra della cuspide più alta del Duomo coincide col tratto di curva corrispondente al mese in corso [Lat. Nord 45° 47’ 01’’ – Long. Est 12° 29’ 42’’]
Che cos’è l’analemma meridiana?
L’analemma (dal greco ανάλημμα, “piedistallo di una meridiana”) in astronomia indica una particolare curva geometrica a forma di otto (inclinato e molto schiacciato) o più propriamente lemniscata (anch’essa inclinata e deformata) che descrive la posizione del Sole nei diversi giorni dell’anno, alla stessa ora e nella .
Alberta Bellussi
Vedi insight e inserzioni

Metti in evidenza il post
Tutte le reazioni:

1033

By
Appena riconosciuto cibo tradizionale Veneto dal Ministero Agricolo, insieme ad altre 10 pietanze.
Ecco allora spuntare fuori dal nulla lui, sua maestà “IL PANINO ONTO”, un capolavoro dell’arte culinaria, incubo costante nei sogni di dietologi e cardiochirurghi vascolari, un cibo che solo a nominarlo ti si restringono le coronarie, però ad ogni morso che soddisfazione.
Il panino onto, il panino notturno o il panino delle sagre dei concerti. Quello che ti sistema lo stomaco dopo una serata un po’ troppo lunga, se non fosse che i suoi ingredienti sono salsiccia grigliata, peperoni e cipolla. Meglio ancora se accompagnati da qualche salsa.
Eppure è così buono che il suo nome – onto – non spaventa nessuno, neanche le più raffinate signorine!
Lo si trova spesso nei vari furgoncini per strada nelle sagre, fuori dai concerti o nelle baite di montagna.
Ma come si fa?
Servono pochissimi ingredienti:
ottime salsiccie fresche, tagliate a metà e ben schiacciate che vengono messe sulla griglia, peperoni freschi rossi e gialli e della cipolla bianca, pane a scelta (meglio se morbido) e salse se lo gradite: maionese, ketchup o senape.
Per prima cosa tagliate i peperoni a striscie da 2-3 cm e tagliate la cipolla a fette. Stufateli separatamente in due pentole con un filo d’olio d’oliva.
Se usate la salsiccia fresca tagliatela a metà e schiacciatela un po’. Entrambe possono essere cotte alla piastra, in padella (preferibilmente una bistecchiera) o con il barbecue.
Scaldate precedentemente il supporto poi cuocetevi la carne per una ventina di minuti a fuoco medio, girandola ogni 5 minuti circa.
Ad un paio di minuti dalla fine della cottura, tagliate il pane e mettetelo a scaldare dal lato tagliato vicino alla salsiccia, in modo da fargli assorbire i succhi di cottura.
Togliete il pane, adagiatevi sopra la salsiccia , aggiungete i peperoni, la cipolla e per finire mettete le salse che più vi piacciono!
Gnam!
Alberta Bellussi
By
Se non segui la moda… Entri nella storia…
Si può ben dire per questo logo creato da Giannino Tamai. Molti pensano che il simbolo della Villa raffiguri un uomo, in realtà è Julie Driscoll, ex cantante britannica, tutt’oggi in vita. Le donne degli anni ‘70 seguivano la moda nel portare i capelli lunghi. Ma Julie non seguiva quella moda, e fu scelta proprio per questo…
By
Quest’anno, il “Diamante del Civetta” è stato osservato alle 8:40 del 19 marzo, precedendo di quasi tre ore l’equinozio effettivo, momento in cui il sole è perpendicolare all’Equatore. L’inizio della primavera, convenzionalmente fissato per il 21 marzo, può variare tra il 19 e il 21 marzo, coincidente con questo fenomeno naturale.
Per gli astrofili l’attimo ha preceduto di circa 2 ore e 45 minuti l’equinozio effettivo e dunque, con il Sole a perpendicolo sull’equatore, la Primavera 2025 può dirsi iniziata. Si tratta di uno dei molti casi di esperienze, a cavallo fra tradizione e scienza e frutto di osservazioni collegate per lo più alla civiltà contadina, che sopravvivono nel vissuto comune, specie nelle società locali più raccolte.
L’altro segnale fisico dell’avvicinarsi della bella stagione che ora si attende tra le Dolomiti è il “risveglio” della cascata dalla Tofana di Rozes, un getto d’acqua che inizia a cadere da 3.225 metri, ben visibile da Cortina d’Ampezzo, nella data in cui avviene il disgelo. Non ha attinenze con l’astronomia ma ha a che fare con la climatologia: la registrazione del costante anticipo con cui questo ormai si verifica da anni è uno dei dati più evidenti del riscaldamento globale della temperatura, anche in alta quota.
Dal web
By
Panin onto, baccalà all’ebraica, club sandwich del Doge, zabajon, fegato alla veneziana, nafta, bigoli in salsa, bollito alla padovana, tartufi dei colli Euganei trifolati e brodo de gaina: altri 10 prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) sono stati inseriti dal Ministero nell’elenco nazionale, che ospita ora ben 413 tipicità venete tra le 5.717 annoverate in tutto il Paese.
Il #Veneto conferma così il 4° posto dopo Campania, Lazio e Toscana, ed ‘allunga’ il distacco dall’Emilia Romagna.
Il MASAF aggiorna l’elenco annualmente, e siamo quindi alla 25^ revisione. Vi entrano i prodotti le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo di almeno 25 anni.
In Veneto non solo si vive bene ma si mangia e si beve bene. I nostri prodotti agroalimentari e tradizionali sono una ricchezza che si traduce in un potentissimo biglietto da visita del Veneto nel mondo, un grande volano turistico e culturale.
By
Come nacque questo piatto famoso in tutto il mondo?
La contessa Amalia Nani Mocenigo era una cliente affezionata dell’Harry’s Bar e i medici le avevano imposto una dieta che le vietava di mangiare carne cotta.
Chiese a Giuseppe Cipriani un piatto che la saziasse e che non fosse cotto, pensò di affettare sottilissimo un filetto e glielo servì con una salsina particolare che sperimentò lui.
Il fato volle che in quei giorni (nel 1950) a Venezia ci fosse una mostra del pittore Vittore Carpaccio, e dato che il rosso del piatto ricordava i colori dei suoi quadri, la ricetta prese il nome di Carpaccio per onorare il grande artista veneziano.
La scena era ovviamente l’Harry’s Bar di Venezia, ma da lì il carpaccio ha fatto il giro del mondo nei ristoranti di famiglia, dagli Stati Uniti fino all’estremo Oriente.
“La carne da sola era un po’ insipida”, avrebbe poi scritto Cipriani. “Ma c’era una salsa molto semplice che chiamo universale per la sua adattabilità alla carne e al pesce. Ne misi una spruzzatina sul filetto e, in onore del pittore di cui quell’anno a Venezia si faceva un gran parlare per via della mostra e anche perché il colore del piatto ricordava certi colori dell’artista, lo chiamai carpaccio”.
Ingredienti per 4 persone della Ricetta Originale di Cipriani.
400 g di carne di filetto
125 g di maionese
Succo di limone
20 ml di latte
1 cucchiaino di salsa Worcestershire
Sale e pepe bianco
Procedimento
Mondare la carne rifilandola. Riporla in frigorifero. Quando sarà fredda, tagliare a fettine dello spessore di 1 mm. Stenderle sul piatto di portata, coprendo interamente. Salare con parsimonia e riporre i piatti in frigorifero per almeno 5 minuti.
Preparare la salsa amalgamando la maionese con un goccio di Worcester e poco succo di limone. Stemperare con il latte, regolare di sale e di pepe.
Condire leggermente le fettine di carne, intingendo un mestolo e facendolo sgocciolare in movimento, poi servire senza indugi.
Alberta Bellussi
By
Nel 1927 Giuseppe Cipriani era barista in un hotel di Venezia.
Presso l’albergo in cui lavorava era ospite un’anziana signora statunitense accompagnata dal giovane nipote Harry Pickering. I due litigarono per questioni di soldi. Un bel giorno la signora partì lasciando il nipote senza una lira.
Giuseppe Cipriani, che era diventato amico di Harry, gli fece un prestito di 10.000 lire in modo che il ragazzo potesse pagarsi il biglietto della nave per tornare a Boston. Si trattava di una grossa cifra per l’epoca ma Giuseppe gliela diede fidandosi.
Nel febbraio del 1931 infatti, Harry Pickering tornò a Venezia restituendo a Giuseppe Cipriani la somma avuta in prestito con l’aggiunta di altre 30.000 lire in segno di gratitudine per averlo aiutato in un momento di difficoltà.
Con questo capitale in mano, il trentenne Giuseppe decise di aprire un bar in un vecchio deposito di cordami nelle adiacenze di piazza San Marco, decidendo di chiamarlo Harry’s Bar in onore dell’amico americano che aveva premiato la sua fiducia. Anche il nome del figlio Arrigo sembra fosse per ricordare l’amico ma italianizzato.
Il locale diventerà la meta di molti intellettuali tra cui anche Ernest Hemingway che aveva un tavolo fisso nel locale.
Da qui nacque la sua fortuna che lo portò prima ad aprire una locanda a Torcello e poi l’Hotel Cipriani alla Giudecca.
Nelle sue cucine nacquero e continuano a nascere pietanze e cocktail conosciuti nei locali della catena Cipriani aperti in tutto il mondo.
Alberta Bellussi
By

La “putana”no non pensare a cose strane….non è nient’altro che un dolce tipico della tradizione contadina vicentina: rallegrava l’inverno attorno al fuoco e veniva cotto sulle “bronse”  dentro una pentola di terracotta.

Prevede l’utilizzo di poca farina da polenta, pane raffermo avanzato ammollato in precedenza nel latte, arricchito da uvetta, pinoli, fichi, liquore e scorza di limone ed arancia: una volta non si buttava nulla!
Si hanno le prime notizie nella zona del Vicentino ai tempi della Serenissima: correva l’anno nel 1405.
C’e chi sostiene che “Putana” derivi da “Putea” ovvero bambina, perché era un dolce preparato per la merenda dei bambini, altri ritengono che sia stata chiamata cosi dopo un bizzarro fatto di cronaca accaduto ad un importante ristoratore Vicentino, il quale, mentre portava questo dolce ai suoi commensali, si trovò improvvisamente al buio perché una raffica di vento aveva spento tutti i lumi della taverna, e inciampato su di un gradino esclamò l’espressione Veneta colorita “la putana”.

Ma la più verosimile è originata dalla versatilità dei suoi ingredienti che possono essere modificati in ragione di quello che la cucina avanza e offre al momento.

Ricetta con pane raffermo

Tante ricette quante le famiglie, si ha pudore di chiamarla con il suo nome, sembra di dire una parola sconveniente, in realtà è una bontà che si apprezza sempre con piacere.

Ingredienti: 3 grandi pezzi di pane raffermo, o biscottato. 3 uova, 1 manciata di farina gialla, succo e la scorza grattugiata di un limone non trattato, 1 cucchiaio o più di grappa, 8 cucchiai di zucchero, uvetta.
A piacere si può aggiungere altra frutta secca o fresca a pezzi (scorzette di arancia candita, cedrini, mele, mandorle, fichi, pinoli, noci, pere…)
1 pizzico di sale, 1/2 bustina di lievito
a piacere, si può aggiungere una fialetta aroma di vaniglia o limone.
burro per imburrare la teglia
Farina bianca (o anche gialla di mais) quanto basta per un impasto omogeneo:

  • Mettere il pane a bagno nel latte una notte.
  • Mettere in ammollo l’uvetta in grappa o acqua
  • Quando il pane è bene inzuppato, strizzarlo e metterlo in una terrina capiente
  • Unire le uova leggermente sbattute
  • Togliere l’uvetta dalla grappa e unirla al pane
  • Uno alla volta aggiungere tutti gli ingredienti
  • La farina va aggiunta in quantità tale da ottenere un impasto che nella
  • consistenza non sia né troppo molle né troppo duro
  •  Amalgamare il tutto e versare nella tortiera imburrata e infarinata.
  • Infornare per 40 minuti a 180°C e lasciare raffreddare in forno.

Alberta Bellussi