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Fiori di acacia e sambuco? Commestibili!

Questa ricetta ha origine da un ricordo della mia infanzia, mia nonna preparava infatti sempre in questa stagione le frittelle di fiori d’Acacia, uno squisito piatto dolce che appartiene alla tradizione veneta.
L’Acacia o Robinia è  una pianta molto diffusa ed in questo periodo i rami sono colmi di fiori profumatissimi, è davvero difficile non vederla o confonderla con altre piante anche se essere sicuri e fare attenzione quando si raccolgono piante spontanee è importantissimo.
Per quanto riguarda invece il Sambuco (Sambucus Nigra) è una pianta molto diffusa e quindi facile da trovare spontanea, ma bisogna stare attenti a non confonderlo con l’ebbio (Sambucus Ebulus) che è molto simile ma velenoso.

Ingredienti:

6 rametti di fiori di Sambuco

6 rametti di fiori di Acacia

100 gr di farina

1 bicchiere circa di acqua fredda

1 pz. di sale o zucchero o miele

olio extravergine di oliva

Utensili di preparazione e presentazione

una terrina

una frusta

una padella a bordo alto per friggere

una schiumarola o paletta forata

carta paglia / carta assorbente

piatto da portata

Procedimento per la preparazione

Lavate delicatamente e mettete ad asciugare i rametti dei fiori. Con la frusta, nella terrina, preparate una morbidissima pastella
con farina, acqua ed un pizzico di sale. Fate scaldare l’olio nella padella (attenzione a non far salire troppo la temperatura, perché i fiori sono molto delicati).
Passare uno alla volta i rametti nella pastella e poi nell’olio bollente. Girare per cuocere i fiori da entrambi i lati e passare sulla carta paglia
o assorbente per far colare l’olio in eccesso. Si possono riporre su un piatto da portata e servire come antipasto con un pizzico di sale. Invece nella versione dolce spolverati o di zucchero a velo o di miele.

 

 

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Nel cuore nell’anima

«Questo libro è un dono, è un esempio vivo di gratuità (diciamolo fra parentesi: la poesia non è forse sempre gratis?) con il suo carico di bellezza espressiva, di amore vissuto o so­gnato, di passione per la vita co­munque e dovunque vissuta ma soprattutto esaltata nel suo quotidiano battere dentro di noi. Se è vero, come è stato detto un giorno, che la parola è si­mile a «una radice che si evolve in foglia e fiore», allora questa raccolta di Alberta Bellussi è simile a un giardino di fiori che si sono originati da una sola parola: cuore» (dalla Prefazione di Ivo Prandini, “Dal cuore all’anima”).

In copertina: foto di Marzia Carlin (2017).

www.armandosicilianoeditore.it

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Segreti e curiosità sulla Chiesetta dei Templari di Tempio di Ormelle

L’Ordine dei Cavalieri Templari nasce in occasione delle Crociate intorno al 1120, subito dopo la prima crociata nel 1096. Fu fondato allo scopo di aiutare i cristiani che si recavano in Terrasanta a completare il loro pellegrinaggio senza essere torturati ed uccisi  perché le  strade verso quella meta  erano infestate da ladri e  predoni . Ugo di Payns,  proprio nella città santa di Gerusalemme, aveva fondato insieme ad altri otto compagni, tutti cavalieri francesi dotati delle armi tipiche della loro condizione sociale, spada lancia e scudo, un nuovo ordine religioso-militare, detto dei “Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio”, prefiggendosi di proteggere la Terrasanta dai saraceni. Analogamente agli ordini religiosi, i cavalieri pronunciavano i voti solenni di povertà, obbedienza e castità. L’ordine venne ufficialmente proclamato, il 29 marzo 1139, dalla Bolla Omne Datum Optimum di Innocenzo II e definitivamente dissolto tra il 1312. Nel corso della sua esistenza l’Ordine Templare svolse sostanzialmente tre azioni, oltre a quella religiosa: l’attività militare, la coltivazione delle terre, la gestione di sistemi economici e finanziarie.

 

I templari entrarono nelle attività bancarie quasi per caso. I nuovi membri che si univano all’Ordine erano nobili e ricchi; donavano ingenti somme di denaro o proprietà all’Ordine, poiché tutti dovevano prendere il voto di povertà. Grazie anche ai vari privilegi papali, la potenza finanziaria dei Cavalieri fu assicurata fin dall’inizio. Poiché i templari mantenevano denaro contante in tutte le loro case e templi, fu nel 1135 che l’ordine cominciò a prestare soldi ai pellegrini spagnoli che desideravano viaggiare fino alla Terra Santa e di seguito anche agli altri. Sembra che la “màson” di Tempio di Ormelle fosse proprio una di queste “cassaforti” dei Cavalieri edificata nella metà del XII secolo.   La màson ossia un’enclave templare isolata, costruita lontano dal centro abitato di Tempio.  Era una piccola cittadina fortificata, da una cinta muraria,  dove dentro vivevano i Templari e tenevano custoditi i loro tesori, che spesso erano le monete d’oro e i loro segreti Vi sono due elementi importanti che caratterizzano quest’area e sono il rapporto con l’idrografia locale e la simbiosi con il territorio rurale: acqua e natura. La chiesa originaria, un rustico in stile romanico,  infatti, sorge sopra i canali di due piccoli corsi d’acqua il Lia e la Piavesella e l’altare sorgeva proprio sopra l’incrocio degli stessi .  La posizione e la struttura degli edifici erano, un tempo, studiate in funzione dell’effetto energetico ricercato: l’architettura serviva a creare una sinergia tra le emissioni telluriche (naturali o modificate artificialmente) e le radiazioni cosmiche.  Le chiese romaniche furono costruite, spesso  sulla verticale di un corso d’acqua sotterraneo o  sull’incrocio di due corsi d’acqua;  la Chiesetta di Tempio ne è un esempio. Le antiche chiese, i templi, i luoghi di guarigione, erano tutti posti in luoghi che emettevano una grande quantità di radiazioni benefiche. I sacerdoti, gli aruspici, i costruttori sapevano dove erigere  gli edifici per ottenere il massimo beneficio: soprattutto sapevano come costruire per esaltare gli effetti positivi. Accadeva spesso nei restauri che queste caratteristiche venissero snaturate e non rispettate e anche nel caso di Tempio è avvenuto ciò.  La chiesa fu restaurata nel 1628, al principio del ‘800, nel 1903 – fu ampliata e modificata nel 1923; verso gli anni cinquanta l’edificio fu oggetto di un infelice ampliamento nella zona del portico che turbò l’impianto originario. Possiamo, comunque,  godere di alcuni interessanti  affreschi che il tempo e l’azione dell’uomo non hanno rovinato.  L’edificio è localizzata vicino agli antichi tracciati stradali  romani come la via Postumia  e la  via Tridentum e dalle diverse e parallele vie  che attraversavano la pianura ed  era, in origine,  composto di un casamento con campanile sulla sinistra. La muratura  laterale è costituita da un grande portico basato su pilastri  rotondi e ottogonali con capitelli a forma di foglia che accoglieva i pellegrini. Le colonne di sezione rotonda rappresentano il mondo femminile e e quelle ottogonali il mondo maschile; dall’unione dei due scaturisce la vita.

Dopo la soppressione dell’Ordine nel 1312, la chiesa di S. Giovanni del Tempio passò agli ospedalieri di S. Giovanni più comunemente chiamati Cavalieri di Malta e dipendenti dal Granpriorato di Venezia. Questo Priorato aveva il diritto di eleggere e presentare all’Ordinario diocesano, per l’approvazione, il sacerdote (che a Tempio fu curato o rettore dal 1565 e parroco dopo il 1684), al quale doveva essere affidata la cura delle anime della “villa”. Dagli atti della visita pastorale del 1544 risulta che  possedeva in commenda la chiesa,  il rev. mo e ill.mo Rainuccio Farnese nipote del Papa Paolo III ed arcivescovo di Napoli. Nel 1797, per le leggi napoleoniche, i beni del Priorato furono demaniati e venduti all’asta; da quell’epoca, la giurisdizione ecclesiastica passò completamente al vescovo di Ceneda. all’esterno campeggia sul sagrato la croce simbolo dei Templari. Le mura furono salvate dalla Soprintendenza agli inizi degli anni ’50, quando il valore della chiesa, ormai fatiscente, si era conservato solo nelle storie dei contadini.

Alberta Bellussi