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La malinconica poesia della nebbia


In queste mattine di fine ottobre la bassa pianura veneta, per qualche ora, è velatamente accarezzata dalla nebbia, parola che da sempre connota l’area geografica dove sono nata; per non parlare poi della più famosa espressione nebbia nella pianura padana che ci accomuna in molti.

La nebbia mi affascina, da sempre, per la sua delicatezza che rende misterioso e malinconico il paesaggio; rallenta i ritmi della vita … regala qualche ora di antica ruralità alla campagna.

Ricordo la sensazione di quelle goccioline che si materializzavano allo scontro con il mio viso quando uscivo presto, presto al mattino per prendere il pullman per Treviso e in bicicletta dovevo raggiungere la Piazza del paese. Mia nonna mi diceva: “verzi l’ombrea, tira su il capuccio”… e io facevo finta di non sentire e pedalavo veloce perché non vedevo l’ora di sparire dentro l’abbraccio misterioso di quelle nuvole. Per non parlare della poesia di Venezia avvolta nella più fitta bruma negli anni dell’Università.

Lo so, oggi in un mondo veloce dove ogni variante che rallenta la corsa frenetica di questa società distratta è vista come un enorme disagio o una tragedia, trovare nella nebbia l’aspetto poetico può far rischiare che mi venga richiesto un TSO, ma non importa corro questo rischio e vi regalo le mie riflessioni.

Con la nebbia si apre magicamente una finestra su una ruralità che rimanda a un passato non lontano ma autentico.  La foschia avvolge in un ‘aura di mistero quel paesaggio di campagna a me visceralmente caro e noto nelle sue pieghe più intime e me lo fa sembrare quasi un set d’altri tempi come le atmosfere rarefatte dei film di Olmi o Antonioni.

Perdo il mio sguardo ancora assonnato sul corso sinuoso del fiume Lia, famoso per i suoi rossi e saporiti gamberi, che sembra delicatamente evaporare in una leggera nebbiolina, celando dietro quel fumo mattutino e i canneti fitti, gli aironi, le gazzette e le anatre che finalmente godono per un po’ della loro privacy dagli occhi dell’uomo.

E pian piano mi riaffiorano alla mente poeti e artisti veneti che dalla nebbia sono stati ispirati… “Il sole si è un po’ attenuato per un velo di altissima nebbia”…Il Barnabo delle Montagne di Dino Buzzati la incontra a velare le cime delle Dolomiti. “Le impressioni più forti che ho avute da bambino appartengono alla terra dove sono nato, la valle di Belluno, le selvatiche montagne che la circondano e le vicinissime Dolomiti”.

Dino Coltro, poeta veronese ricordava gli auspici che l’apparire della nebbia portava alle famiglie: Tempo molo fa la nebia, tempo duro porta ben, a seconda della temperatura; Nebia bassa bon tempo assa e La nebia purga el tempo, quando promette il ritorno del bel tempo; Nebia ciara tira el caro via da l’ara, quando preoccupa i contadini nei campi; Tre caivi fa na piova perché anticipano la pioggia.

O le intense tele ad  olio  di scorci della campagna del secolo scorso con le vacche e le case rurali di Donadel o le incisioni dei campi con i morer e le cassie  di Barbisan e di Ceschin sono avvolte nella magia malinconica della foschia padana; quadri nei quali spesso ho cercato di entrare con lo sguardo e di immaginare quel mondo antico a me emotivamente caro.

Nell’attesa che la nebbia agli irti colli arrivi a festeggiare San Martino, i tini avranno già finito di ribollire ma li sostituiremo con delle scoppiettanti castagne sopra la stua de la nona, di cui da poco vi ho raccontato.

Alberta Bellussi

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